Se uno dei coniugi abita la casa di proprietà comune dopo la separazione, è tenuto al pagamento dell’affitto o di altro contributo a favore dell’altro proprietario?
La questione all’attenzione della Cassazione è stata originaria dal fatto che un coniuge aveva continuato a vivere esclusivamente nella casa coniugale, di proprietà comune all’altro coniuge, pur non avendo alcun provvedimento di assegnazione o altro titolo che gli consentisse di utilizzare il bene in via esclusiva.
L’altro coniuge proprietario al 50% aveva chiesto il pagamento dei frutti e la Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, con l’ordinanza del 18 aprile 2023 n. 10264 ha riconosciuto che tale richiesta è legittima, in accordo con le norma che regolano la comunione.
Attenzione tuttavia: le somme sono dovute solo a a partire dalla richiesta degli altri comproprietari di godere del bene per la loro parte del bene o con un uso turnario.
La Corte ha infatti stabilito il principio di diritto secondo cui “in materia di comunione del diritto di proprietà, allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, secondo quanto prescrive l’articolo 1102 c.c., i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto. In mancanza di deliberazione, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili con decorrenza dalla data in cui allo stesso perviene manifestazione di volontà degli altri comproprietari di avere un uso turnario o comunque di godere per la loro parte del bene“.
Infatti, dalla sentenza impugnata si ricava che l’oggetto di comunione è l’abitazione coniugale e dunque una cosa per definizione idonea a produrre frutti civili, di cui uno dei proprietari ne ha goduto in via esclusiva.
Sulla base di tali premesse di fatto, la Corte d’appello, invece delle norme sulla comunione, ha falsamente applicato l’articolo 1148 c.c. Questo articolo disciplina il caso, affatto diverso, della sorte dei frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona fede il quale debba restituire la cosa al rivendicante. Regolando l’attribuzione dei frutti nel conflitto esterno tra possessore in buona fede e proprietario, non può operare per disciplinare il diverso problema della ripartizione interna fra più comproprietari dei frutti ritratti o ritraibili dalla cosa comune.
AVVERTENZE
Autore: Avv. Andrea TOTÒ