La Corte di Cassazione Cassazione con l’ordinanza n. 8241 del 14 marzo 2022 ha ribadito il principio ormai da tempo consolidato che il convivente superstite di una coppia di fatto non può percepire la pensione di reversibilità, in quanto è necessaria una unione civile formalizzata.
Pertanto le coppie di fatto, cioè quelle che semplicemente convivono senza aver celebrato un matrimonio, un’unione civile o senza aver almeno registrato un contratto di convivenza, non possono usufruire del beneficio previdenziale.
La pensione di reversibilità pubblica è un istituto di sostegno pensionistico rivolto ai familiari di un pensionato o di un lavoratore deceduto, ed è erogata dall’INPS. Hanno diritto a questa forma pensionistica il coniuge e i figli superstiti. Inoltre, con l’entrata in vigore della legge del 20 maggio 2016, n. 76, la pensione di reversibilità è riconosciuta anche al componente superstite di una unione civile.
Già con la sentenza del 3 novembre 2016, n. 22318, la Corte di Cassazione aveva stabilito che il convivente more uxorio non ha diritto alla pensione di reversibilità «in quanto l’attuale sistema previdenziale non contempla siffatta previsione, né tale vuoto normativo contrasta con gli artt. 2, 3 e 117 Cost. per violazione dei principi della Cedu perché la convivenza, non assimilabile al vincolo di coniugio ex art. 29 Cost., non comporta il necessario riconoscimento del trattamento pensionistico di riversibilità, che non appartiene certo ai diritti inviolabili dell’uomo presidiati dall’art. 2 Cost. e dalla Cedu, né concreta un effettivo rapporto giuridico la cui preesistenza è condizione per l’attribuzione del beneficio previdenziale». E in precedenza si erano espressi nello stesso senso sia la Corte Costituzionale (3 novembre 2000, n. 461) che il Tribunale di Roma, Sez. lav., 22 dicembre 2015.
Dall’ordinanza in commento è pertanto possibile desumere il seguente principio di diritto «In tema di pensione di reversibilità, nella vigenza della disciplina antecedente alla data di entrata in vigore della l. n. 76 del 2016, che non può applicarsi retroattivamente, la mancata inclusione fra i soggetti beneficiari del trattamento di reversibilità della persona unita ad un’altra dello stesso sesso in una relazione deformalizzata trova giustificazione non irragionevole nell’impossibilità di contrarre il vincolo matrimoniale, trattandosi di una scelta del legislatore che è espressione del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati».
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Autore: Avv. Andrea TOTÒ